Una delle considerazioni che sto facendo allenandomi da “invalida” è che sto provando emozioni ed esperienze che riguardano lo sport in generale, che accomunano cioè i grandi atleti, gli amatori e i paratleti, ma che allo stesso tempo provo esperienze speciali, che riguardano strettamente chi ha delle difficoltà fisiche.
La mia difficoltà motoria non è eclatante come altre, ho l’uso di tutti e quattro gli arti e solo occhi attenti notano in me qualcosa che non va, pensando spesso ad una semplice algia o ad un cattivo atteggiamento posturale. I più fastidiosamente brillanti, spesso i medici, arrivano a dire anche “Dai, stai dritta!”, senza pensare forse che chiederlo a me è come chiedere loro di stare inclinati di 30-40 gradi o chiedere ad una ragazza in sedia a rotelle di camminare. Insomma il fatto di avere 12 vertebre bloccate, e neanche troppo dritte, mi provoca qualche fastidio.
Se nella vita quotidiana ho imparato a convivere con la mia fissità e a districarmi al meglio, nell’allenamento la storia è tutta da scrivere. Può sembrare un gioco di parole ma la fatica per me spesso non è la fatica, a limitare i miei allenamenti per ora non è quasi mai il limite aereobico o genericamente muscolare, ma i micro dolori su cui devo continuamente vigilare. O peggio i dolori importanti che rischio a causa della mia struttura particolare. Per capirci io nuoto come un salame un po’ perché devo fare tanto allenamento tecnico ancora, ma anche perché non posso ruotare il bacino e sono parzialmente ruotata a sinistra, nonché inclinata di diversi gradi. Il risultato è che le mie spalle gridano vendetta e il mio culo (scusate il francesismo) sembra pesare il doppio del vostro.
Questo mio allenamento è una grande palestra. L’allenamento lo è sempre, è vero, ma per me non poter spingermi dove la mente riesce a causa di un limite fisico è una cosa difficile da accettare. E quindi su cui lavorare con pazienza. Essere consapevole del rischio e gestirlo. Nel mio caso in particolare è la corsa a mettermi ogni volta in difficoltà… anche se corro pochissimo ancora. La bici va, in sella sto da sempre e finché si tratta di arrivarci in fondo ci siamo, il nuoto è ancora così indietro che la fatica si confonde molto bene con le difficoltà fisiche (al termine sono sempre sia stanca da morire sia dolorante!), la corsa invece non la sopporto proprio per la sua capacità di non farmi andare dove vorrei.
Correre non è proprio il massimo per me e ad ogni passo mi confronto con tutte le mie difficoltà. Una tale rabbia! Mi sto allenando tecnicamente per alleviare l’impatto della corsa sulla schiena, ma questo ovviamente si ripercuote su gambe, caviglie, glutei… Quando realizzo poi che mi metterò a correre con tutta la fatica delle altre discipline addosso, la tentazione è di dire “Non ce la posso fare”…
Poi ripenso ad un bel video di Velasco: parlava di un dopo partita in cui i giocatori sostenevano di aver perso il match perché il taraflex era scivoloso. Lui diceva… c’è sempre qualcosa di scivoloso, che non funziona, c’è sempre qualcosa che non è esattamente come vorresti, sei tu che devi portare a casa il miglior risultato possibile nonostante tutto. Così realizzo che sono proprio i miei limiti ad avermi fatto avvicinare al triathlon e che probabilmente non sarei qui a correre se potessi correre come tutti gli altri. Non ho mai fatto prima, infatti. E qualunque sia la fatica è lì per essere superata.
Questo basta ogni volta per farmi mettere testa bassa e via andare.
Mi hai chiesto di dare un’occhiata al tuo blog…….l’ho fatto…..
E non avevo molti dubbi…….quando una donna ha “quel qualcosa in piu'” gli si legge negli occhi…
Ti seguiro’ con interesse……
Baci
Alessandra
Grazie Alessandra!
Che gioia leggere il tuo commento. Posso dire lo stesso di te e della tua famiglia. Sono molto felice che questa mia passione per lo sport mi abbia portato a Pescara nel tuo B&B, gestito con passione e cura. A volte la vita!
Un abbraccio e un “In bocca al lupo!” per tutto.