Per mia natura sono sempre stata sensibile alla diversità e alla disabilità, la classica ragazzina con l’indole da crocerossina, di quelle sempre in prima fila per aiutare i più deboli, a scuola, agli scout o in qualunque occasione si presentasse. Poi sono successe 3 cose che hanno cambiato la mia vita: la maternità, l’intervento, lo sport.
La maternità
Ho già scritto di come la maternità cambi il tuo modo di sentire, credo che sia un principio meramente biologico. Non sei più quella di prima, il tuo sonno da pesante diventa leggerissimo, non ti spieghi perché, ma ti trovi in grado di capire che i tuoi figli non stanno bene ogni volta prima di loro, e altre mille meravigliose sfumature che fanno parte dell'”essere mamma”. A me successe anche un’altra cosa. Come ogni neomamma ero preoccupata per la salute di Margherita che stava crescendo dentro di me, non avevo ancora 30 anni a quel tempo, e scelsi di evitare tutti gli esami per escludere malformazioni al feto. Lo feci perché se c’era una probabilità che ci fossero dei problemi, non avrei lasciato che questi precludessero la vita della mia bimba per mano mia. Insomma io che sono la paladina della libertà e non sono contraria all’aborto, so che non avrei la forza di fare questa scelta.
Non credo in dio, ma ritengo la vita sacra, e credo che il nostro compito rispetto all’Universo sia di onorare la vita in tutte le sue forme, riconoscendole un valore assoluto. Non riesco a farla breve, sono questioni davvero importanti per me, comunque quando Margherita è nata sana e robusta mi sembrava di aver vinto alla lotteria. E per i primi anni ogni volta che incontravo una mamma con il suo bimbo disabile io non riuscivo a guardarla negli occhi, come se fossi una ladra, che aveva rubato, senza meritarlo sicuramente più di lei, la salute per la sua bambina… ho acquisito un debito con l’Universo insomma, che sento di dover ripagare.
L’intervento
Anche di questo ho già scritto qui nel blog, di come ho chiuso gli occhi al momento dell’anestesia generale con l’unica speranza di muovere ancora braccia e gambe al mio risveglio. E ricordo l’infermiere che chiamava il mio nome accarezzandomi il viso, gli occhi che si riaprivano mentre ero ancora in sala operatoria, il respiro che non usciva perché ero intubata e il primo tentativo di muovere i piedi sentendo il lenzuolo che li ricopriva, a quel punto richiudere gli occhi e tornare nell’oblio da cui ero emersa. Mi chiedevo… Sarò sempre io se non potrò più camminare? E ricordavo che un pensiero mi ha sempre accompagnato quando da ragazza tutti notavano i miei occhi azzurri, o il sorriso… e io dentro di me “Ma se mi succedesse qualcosa, un incidente che mi deturpasse, rimarrei sempre io?”
Lo so… sono una filosofa e una psicologa mancata, quindi sopportate le elucubrazioni. La riflessione che più di altre mi ha sempre affascinato è il divario tra ciò che siamo, come ci vediamo e come gli altri ci vedono. Ormai tanti anni fa ho avuto dei disturbi dell’alimentazione, sono sempre stata una bambina grassottella e per molti anni ho oscillato tra magrezza e rotondità, fino all’anoressia. Sono disturbi che secondo me rimangono sempre latenti dentro di noi, impariamo a gestirli, possiamo volgerli in positivo (lo sport è una meravigliosa medicina ma ne parlerò approfonditamente in un post). Ho smesso da pochi anni di chiedere una 46/48 quando entravo in un negozio di abbigliamento. E giuro che non lo facevo per il sollievo di calare la taglia una volta provata, lo facevo perché se mi avessero fatta disegnare io mi sarei disegnata taglia 48 e non 44 come magari effettivamente ero.
L’intervento, con la paura di una probabile paresi prima e con la pesante riabilitazione che ne è conseguita mi ha fatto quindi riflettere tantissimo su ciò che siamo e su ciò che ci sentiamo essere al di là delle apparenze e delle nostre capacità fisiche.
Lo sport
Quando sono stata folgorata dal triathlon la prima cosa che ho pensata è stata “Ma potrò davvero allenarmi per un triathlon?” Per i medici sembrava impossibile che io facessi spesa da sola o portassi i tacchi… Ho iniziato allora a guardarmi intorno, cercare on-line se qualcuno prima di me si era messo in questa folle impresa. Ovviamente non ho trovato nessuno con 12 vertebre bloccate (in fondo è anche bello sentirsi unici!), ho trovato però un mondo incredibile di ragazzi disabili grandi campioni di sport. Che nuotano con un solo braccio o senza una gamba, vanno in bici (o in handbike) o corrono con stampelle o sulla carrozzina. Che meraviglioso esempio che sono ogni giorno ora per me!
Spesso durante il mio allenamento, quando sono senza fiato per la fatica e i nervi rischiano di cedere penso a loro e mi ripeto “Giovanna, smetti di lamentarti che stai nuotando con tutte e due le braccia!” e mi sembra tutto un po’ meno faticoso.
Vorrei che il blog fosse anche un strumento per raccontare le loro storie, di uomini e donne dai super poteri. Perché non c’è solo Alex Zanardi, che è un grandissimo, c’è anche Alessandra, Simone, Francesca, Alessia, Andrea, Michele e mille altri che hanno scelto di misurarsi con i loro limiti non solo nella vita di tutti i giorni ma anche nello sport.
Proprio una ragazza di queste un giorno in un gruppo Facebook ha scritto un post che mi ha fatto venire i brividi e che da allora è come un seme che germoglia in me.
“Scusate la domanda stupida, ma voi come vi sognate?”
Questa domanda non ha nulla di stupido e anzi mi ha colpito come uno schiaffo. Ho pensato… già, come si sogna una persona in carrozzina? Seduto o in piedi? E la mia amica senza una gamba sognerà di guardarsi entrambi i piedi stesa sulla spiaggia? Zanardi di fare l’amore con la moglie come lo faceva prima?
Chi siamo? Chi desideriamo essere? Dove risiedono i nostri limiti?
Ciao Giovanna!
Triathleta, super donna, wonder mamma.
A dire il vero, quando ho l’occasione di sognarmi (e ricordarlo), la mia disabilità non appare.
Nel mondo notturno non mi vedo mai in sedia a rotelle, ma ogni occasione è buona per far muovere e sgranchire le mie gambi pigre nella realtà.
La disabilità e la normalità sono convinto siano relative, un po’ indotte nella vita comune da una miriade di modi di dire e di pensare plasmati nel tempo dalla società.
Forse è per questo che la mia mente “non accetta” questo status, perché fondamentalmente non lo assimila. Sarebbe bello capirlo, facendo un’altra domanda aperta: “Perché ci sogniamo così?”
O magari non esisto realmente…cioè nella vita di tutti i giorni sono un eroe dalle braccia possenti e dalle gambe stanche che va a caccia di imprese pazze. Un paladino della follia, degno delle storie più disparate della Marvel.
Di notte invece nell’altra dimensione una persona qualunque, senza disabilità ne normalità, con note di vita comune, dove tutti i desideri della vita giornaliera prendono forma e si realizzano.
Insomma un alter ego.
Praticamente mi sogno meno folle e più “normale” come fosse una dimensione dove non ci sono errori di programmazione, dove non ci sono virus che infettano il sistema. Forse il mondo ideale.
Cosa che, per un sognatore come me, è uno spunto per rendere la mia vita diurna un pezzo unico della mia storia, mescolando follia e semplicità, cercando di perseguire i sogni più belli e raggiungerli, trasformando l’impossibile in possibile senza porsi dei limiti.
Perché il limite stesso è un freno verso la propria scoperta, verso quel mondo che non vediamo ma esiste, esiste con tutta la sua meraviglia.
Alchimia.
Grazie Giò, per le tue sempre splendide letture, che ci fanno capire chi sei, chi stai diventando e chi ci farai essere, spinti dalla tua tenacia e positività nei confronti dell’universo.
Grazie Simone!
Il tuo contributo è prezioso. Sei un grande esempio per tutti noi, non solo per le tue imprese da supereroe, ma per l’attenzione che sai dedicare costantemente ai bambini e più in generale agli altri. Con le tue braccia possenti di giorno e con la tua mente che ti sogna in piedi di notte, stai rendendo il mondo un posto migliore. Grazie.