Cosa hanno in comune Ozzy Osbourne, il Nocciolato Rigoni e l’oro di Ruffini? Forse nulla, per me un week-end ricco di spunti di riflessione. 15 e 16 agosto, i miei bimbi dal babbo, la bimba di Gabri dalla mamma, noi tra allenamento, nuovi e bei progetti di lavoro e relax. Quelle situazioni in cui è più facile lasciare che un fatto ti porti via i pensieri e li faccia librare un po’.
Una mattina senza sveglia, già questo vale un sorriso, neanche i bimbi giù che si alzano e chiamano, non ci sono allenamenti da fare all’alba per sconfiggere il caldo, solo tempo da godere. Si finisce per scendere giù in cucina alle 11 con l’ebrezza del giorno di festa. E per tenerla addosso invece del solito pane integrale fatto in casa, scongelo i pancake alle nocciole e un senso di gratitudine mi prende per chi li ha fatti, qualche mattina prima, svegliandosi per tempo (grazie Gabri!). Poi apro il frigorifero, gli occhi si posano sui barattoli da colazione: burro d’arachidi, marmellata, sciroppo d’agave… la mano però va dritta sul Nocciolato Rigoni, comprato il giorno prima per far contenta Matilde, a cui proprio la marmellata non va giù. Per un attimo mi ritrovo bambina e mi lascio andare a quella che in Romagna, la terra dove sono cresciuta, si chiamerebbe una “lovaria” (una golosità…). Mi vien da pensare che ogni tanto fa davvero bene rompere i propri schemi e allo stesso tempo penso che non mi godrei così tanto questo momento se non fosse incastonato nella mia vita, fatta di impegni, bimbi, lavoro, allenamento, pane integrale e marmellata, la vita che ho scelto e che amo!
Il tempo per sedersi sul divano e fare zapping. Anche questa una rarità. Su Sky arte trovo un documentario su Ozzy Osbourne e mi fermo. Conosco la storia degli Ozborne (chi non la conosce!) ma non riesco a staccarmi dal video, non riesco a distogliere lo sguardo da questo vecchio con i capelli lunghi e i tatuaggi, ormai cieco, che si aggira ciondolando nella sua villa da mille e una notte, sempre con la tazza in mano, a raccontar di sé quel poco che ricorda. Un uomo che dai 14 anni non ha mai vissuto sobrio, un uomo che dall’assoluta povertà si è trovato in un baleno ad essere una star e che ha fatto un tale uso di droghe e alcol da ricordare la metà della sua vita, forse meno. Un uomo che abitualmente cadeva in coma etilico, che ha tentato di uccidere la moglie, che non ricorda la data di compleanno di nessuno dei suoi figli. Ma la sua famiglia era lì con lui. E questo mi è sembrato così ovvio e inspiegabile insieme. Come l’Amore. Appunto!
Quest’uomo, che ha girato un reality nel periodo di massima intossicazione, che non ha mai avuto paura di farsi vedere strafatto, oggi siede sul suo meraviglioso divano di pelle bianca finalmente sobrio. Qualche anno fa suo figlio minore, anche lui tossicodipendente, ha smesso di far uso di droghe e questo per Ozzy è stato l’inizio del cambiamento. Sono rimasta senza parole, c’era qualcosa di meraviglioso e insieme insopportabile in questa cosa: un padre debole e un figlio forte, così forte da cambiare le sorti del genitore. Un padre figlio e un figlio padre. Chissà che sofferenza e che gioia infinita ora essersi ritrovati.
Il cambiamento è una deflagrazione che avviene quando meno te lo aspetti. E i limiti che ci siamo dati per anni in un attimo scompaiono. È il desiderio che accende il cambiamento. Ozzy avrà pensato mille volte… drogarsi è meraviglioso… tanto non torno più sano, tutto quel che è bruciato ormai è andato… sono vecchio per cambiare… si sarà detto… chi me lo fa fare… poi ad un tratto l’ha fatto! Grazie agli occhi di suo figlio finalmente limpidi e puliti e alla sua forza che l’ha inchiodato al muro, al desiderio di essere finalmente padre.
Domenica pomeriggio. Scendo pronta per uscire e trovo Gabriele davanti alla tv. Quando accade di solito è intento a guardare programmi di cucina o sport, quando è solo, più facilmente sport. Io di norma do un’occhiata veloce e incurante e mi affretto a fare altro. Domenica però stava guardando la finale mondiale dei 25 km in acque libere. Mi sono seduta e non riuscivo a togliere lo sguardo da quelle bracciate. Non tanto perché ci fosse un italiano a difendere il primo posto, più per una sorta di adorazione di quel gesto atletico con cui anche io nel mio picolo mi confronto ogni giorno e che a me risulta impossibile. Ma impossibile non esiste.
Guardavo Simone Ruffini e pensavo…
hanno già nuotato più di 20 km …e io fatico a superare i 1000 metri
sembra un robot… chissà in quante ore, giorni e anni di allenamento ha costruito quella apparente tranquillità e quella assoluta sicurezza con cui bracciata dopo bracciata si avvicinava al traguardo
chissà cosa si sta dicendo per continuare a spingere e non farsi superare… perché dev’essere come una maratona, ad un certo punto bisogna andare a cercare le risorse da qualche parte e bisogna trovarle!
E pensavo a quanto perfezione c’è in una vittoria, a quella mano che ha toccato il tabellone, al respiro per un attimo trattenuto e poi a quell’istante che ha dato senso a tutti i sacrifici.
Quante ore rubate al sonno, quante serate in meno con gli amici, quante litigate con chi non capiva… Poi la fiducia infinita e la determinazione assoluta rinnovate ogni giorno a sé stessi prima che a chiunque altro. Quella fiducia e determinazione che sono le ali per raggiungere la vetta dei propri sogni.
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