Alla fine a lei, alla mia cicatrice, devo tutto quello che sta accadendo.
Devo il dolore, ma anche la forza, la fatica e il coraggio.
Non sarei quella che sono senza la cicatrice che mi segna la schiena, che percorre in una linea silenziosa e definitiva lo spartiacque tra il prima e il dopo.
Sarà lei, insieme a tutto ciò che cela (le barre, le viti, gli innumerevoli punti di sutura) a decidere fino all’ultimo la mia gara.
La zona cambio, che sembra una banalità ai più, è una parte della gara complessa per me che ho la schiena stabilizzata. Togliermi la muta, mettermi le scarpe velocemente e in piedi… salire e scendere dalla bici.
Tra i gesti quotidiani quello che rimane più complicato e mettermi i collant, oppure allacciare un sandalo alla caviglia. Insomma sarò costretta ad affrontare il mio Sprint come se facessi un Ironman, con paradossale calma!
La mia cicatrice sarà sempre lì, a guardarmi le spalle, come fa da tanti anni ormai. Sarà lì ad indicarmi quando sto esagerando e allo stesso tempo lascerà che mi spinga oltre al limite che rappresenta.
Non sarà solo una questione di testa, ora che sono allenata per arrivare in fondo, devo accettare le incognite che mi legano a quell’orizzonte verticale che disegna su di me un destino speciale. Sono pronta anche a questo…
“Questa cicatrice se la terrà per sempre”
“E lei non può farci niente Silente?”
“Anche se potessi non lo farei. Le cicatrici possono tornare utili.”
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