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Estate 2007 – noi 3 soli

3 Novembre 2015 By Giovanna Rossi Lascia un commento

Cosa spinge una donna che ha rischiato di non camminare più a preparare un triathlon? Cosa significa allenarsi giorno dopo giorno sotto lo sguardo incredulo dei propri bambini?

Credo che alla fine sia una questione di istinto, lo stesso che ti fa guardare negli occhi i tuoi figli per trovare la forza nei momenti difficili, che ti fa credere che ce la puoi fare e che ti fa rialzare quando sei a terra.

Ho scritto un testo qualche tempo fa, quando ancora non sapevo come sarebbe andata a finire. È la sintesi della mia storia, vista da un angolazione speciale, il legame con i miei figli. Ho deciso di proporlo qui, a chi mi ha seguito, a chi mi seguirà, di proporlo “a puntate”. Tappe di una vita come tante di cui qualcuno conosce il finale, qualcuno lo scoprirà.

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Estate 2007 – Noi 3 soli

Vi guardo perché guardarvi è l’unico modo che ho per non piangere. Siamo al mare, i nonni hanno preso una casa in affitto. Qualche settimana fa vostro padre mi ha comunicato che se ne andava. Era il giorno della festa del tuo secondo compleanno, Margherita. Alberto, tu avevi appena compiuto 4 mesi.

I figli risucchiano energia per quanta ne sanno restituire, questo l’ho già imparato. In questi giorni siete voi a darne a me, a mantenermi in vita con i vostri sorrisi e le attenzioni che continuamente chiedete. Essere indispensabile tiene in piedi a volte.

Su di me, in questo periodo fragile, pesa anche lo saprete meglio un giorno, l’intervento alle porte. Il dottore ha detto: “Partorisca e poi venga ad operarsi”. Artrodesi vertebrale. La mamma ha sempre avuto problemi di schiena, fin da ragazzina, e negli ultimi anni il dolore era diventato insopportabile. Poi si sa due gravidanze vicine… ma per quelle non c’è prezzo abbastanza alto da pagare, questo è certo.

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Quando la mamma avrà riordinato i pensieri e i pezzi della nostra vita andata in frantumi, si sottoporrà all’intervento.

Le dovranno aprire la schiena, raddrizzare la spina dorsale, limare e modellare le vertebre, utilizzando un po’ di polvere ossea estratta dalle creste eliache, fissare tutto con due barre di titanio e tante, troppe viti.

Ci sono innumerevoli rischi, ma l’alternativa è finire in sedie a rotelle quando ancora voi avrete tanto bisogno di me. Ho il dovere di provare, andrà tutto bene. Deve andare tutto bene.

Continua…

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Mi chiamo Giovanna.
Fino a qualche anno fa non sapevo cosa fosse il triathlon e trattavo lo sport con la diffidenza di chi è abituato ad usare solo il cervello. Ho cambiato idea grazie ad un intervento che mi ha costretto a ricominciare da zero per non finire sulla sedia a rotelle.
Oggi sostengo che le difficoltà possono essere meravigliosi trampolini di lancio e che lo sport mi ha cambiato la vita insegnandomi cose che nei libri non avevo trovato.
Lo racconto qui.

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