Gaia aveva 18 mesi ed è morta per essere stata dimenticata in auto da mamma Michela. Qualche anno fa un padre dimenticò il figlio in auto e il bimbo morì. Auto che si trasformano in forni. Genitori che si trasformano in assassini.
Come si fa a dimenticare il proprio figlio in auto?
Mi sono fatta questa domanda oggi e me la feci allora. Me la sono fatta come tanti altri genitori, zii, nonni, fratelli e figli. Prima di farmela però ho provato un dolore paralizzante. Ho pensato a quella donna e a quella scena che ieri mattina le si è piantata negli occhi per sempre. La sua auto, la sua bambina. Sul seggiolino, come sempre, ma in fin di vita.
Sono mamma anche io, ho due bambini che hanno meno di 20 mesi di differenza, li ho gestiti sola per un sacco di tempo. In un momento molto difficile della mia vita: il loro padre mi aveva lasciato che il piccolo aveva 4 mesi e la grande aveva appena compiuto 2 anni. Lavoro, casa, lacrime da nascondere, conti da far tornare. Ma alla fine questa è la vita di ogni genitore, anche se il destino è migliore, anche se c’è un uomo al tuo fianco, anche se ci sono nonni e zii a darti una mano. È dura, durissima a volte.
Un dolore paralizzante. La coscienza che è successo l’irreparabile. Ed è colpa tua. La cosa più importante della tua vita, tua figlia. A questo ho pensato prima di pormi una domanda scontata e di tutti. Come si fa?
Non sono una psicologa, né un medico che possa esaminare l’episodio dal punto di vista neurologico, o fisico o sociologico. Non voglio neanche. Ma sono una mamma e oggi faccio outing. Anche io avrei potuto dimenticare uno dei miei figli in auto. Anche io ho provato lo sfinimento assoluto a cui ti può portare il ruolo di genitore. A volte lo percepisci e lo razionalizzi, a volte è un rumore di sottofondo, uno stordimento impercettibile. Poi, quando non te lo aspetti, arriva il black out. O la follia.
Ricordo una notte sola in casa. Alberto di pochi mesi da allattare e Margherita col virus intestinale. Il pediatra che mi aveva detto: Mi raccomando… lì tenga separati. Si, come no. Una notte infinita… Quante notti infinite ci sono scolpite nella mente di ogni genitore? Quanti pianti, febbri alte e urli da non poterne più?
Alzi la mano chi non ha mai pensato: Non ce la faccio… o peggio… Lo tiro dalla finestra.
La vita di genitore è superare il proprio limite, ogni giorno. Come si fa a resistere? Come si fa per non cedere?
Non credo che ci siano soluzioni semplici, non credano neanche importino oggi. Oggi vorrei solo avere un abbraccio vero per quella donna, per quel padre, perché non credo che ci possa essere dolore più grande di perdere un figlio, di perderlo soprattutto così, e credo profondamente che questo dolore annienti immediatamente qualunque ipotesi di colpa. Ma quale colpa, quale.
Mi chiedo però cosa possiamo fare, me lo chiedo sempre davanti a questi schiaffi che la cronaca ci dà a volte, cosa possiamo fare per aumentare la nostra resistenza, per affrontare le sfide che la vita ci mette davanti. Per riuscire a districarci nelle nostre giornate sempre più complesse che ci mettono alla prova su mille fronti. La vita ci chiede una preparazione che spesso non è scontata, una forza di responsabilità da scoprire e da allenare. Ci chiede però a volte anche di mollare, e alzare la mano, e chiedere aiuto. Che fatica chiedere aiuto se siamo mamme, il perno della casa, che fatica. Che fatica se siamo padri di famiglia, che devono mandare avanti la baracca, su cui tutto si regge.
Fare una doccia in tranquillità, andare dalla parrucchiera o a bere una birra con gli amici. Ma soprattutto avere la forza di rinunciarci se serve, senza che diventi un dramma. La forza di essere e di cambiare. Di resistere e gestire.
La vita è un complesso equilibrio di forza e fatica, pensiero degli anni che passano… Poi ci sono gli abbracci, gli angoli in cui raggomitolarsi. Oggi quell’angolo è per Michela. La fatica è già lì, pesante e indissolubile. Io le auguro di trovare la forza per ricostruire il suo sorriso. Quello che sembra impossibile oggi, ma che la vita a volte sa regalarti improvvisamente e inaspettatamente. Non può arrivare l’alba senza che passi la notte. Mai.
mi piace. sei capace di vedere le cose senza giudicare.
e vedere dove é veramente ” chi” ha bisogno di aiuto.
parli per cose provate sulla pelle e non lette o sentite dire o peggio preconcetti inculcati dalla gente.
brava.
Grazie Roberto. Grazie di cuore. Diciamo che le cose non mi sono sempre filate lisce… ma ci sta! 🙂
Un bellissimo commento ad un dramma che non ha un PERCHE’ ne un COME ma che risulta – sempre agli occhi di chi come noi lo legge su un quotidiano o su Internet – assurdo e impossibile da capire!!!
Penso sempre anche io al senso di colpa infinito che una tale tragedia lascia nel cuore e nell’animo di questi genitori (prima ancora che persone…) ma non riesco a trovarci una ragione, o una spiegazione razionale…
Mando anche io un immenso abbraccio a Michela e al padre di Piacenza che ha vissuto la stessa tragedia alcuni anni fa…
hai espresso in maniera precisa il mio pensiero e l’empatia che ci dovrebbe accomunare davanti a certe tragedie, riuscendo a mettere da parte l’io giudice che troppo spesso vedo sbandierare in questo mondo tanto social. Social solo a parole però, perché poi tutta questa presenza e capacità di aiuto non ci sono realmente e la gente è sempre più sola. E non parlo di società e comunità, parlo della tua stessa famiglia, dove tutti sono talmente oberati da non accorgersi che qualcuno è in difficoltà e a livelli di stanchezza assurdi, dove le finte necessità soppiantano le vere, dove manca ormai la coesione e la rete che una volta era presente e ora non c’è più. Come mi piacerebbe avere una soluzione…
Quanto è vero! La famiglia moderna per certi versi è più libera, ma sicuramente è venuto meno quell’aiuto che si dava per scontato. A me è capitato spesso di vedere persone in difficoltà, voler fare qualcosa ma poi pensare “Ma cosa voglio saperne io…” oppure chiedere e ricevere un “sto bene grazie”. Hai presente la tragedia del bimbo morto a Settimo Torinese appena nato per mano della madre? Ecco… in quel caso tutti avevano visto che la donna era incinta, ma lei negava. Cosa si può fare in questi casi? È un grande dilemma per me. Davvero dovremmo trovare il modo di aiutarci davvero, non solo nelle chat di mamme. Grazie del tuo prezioso contributo.