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Quando ho dovuto rinunciare

3 Ottobre 2016 By Giovanna Rossi 1 commento

Era il 3 ottobre di un anno fa quando feci il mio ingresso ufficiale nel mondo del triathlon. Di quella giornata ci sono cose che non dimenticherò mai. Era un semplice sprint, una gara breve, ma per me, che non avevo mai fatto sport e che ho 12 vertebre bloccate, era una sorta di prova di iniziazione, una sfida, il segno di qualcosa di grande che nella mia vita stava accadendo.

46percento a riccione

Allenarmi per me significa molto di più che tenermi in forma. Significa prima di tutto misurarmi con caratteristiche con cui è più facile fare a botte che andare d’accordo:

  • la pazienza: sono sempre stata piuttosto svelta di pensiero e di questa velocità ho fatto un po’ il mio marchio di fabbrica. Le persone veloci tendono a non essere pazienti. Appunto. Ho dovuto lavorare molto per accettare che gli altri potessero avere ritmi diversi dal mio e ora, grazie al triathlon, devo imparare la pazienza con me stessa. Perché i miei progressi sono lentissimi, il mio corpo sembra l’antitesi del mio cervello, e devo lavorare sodo per conquistare tutto.
  • l’umiltà: il fatto è che non devo solamente faticare tantissimo per vedere piccoli progressi, ma questi piccoli progressi scompaiono se paragonati a quelli degli altri. È inutile, io sono una folle agonista, e la consapevolezza di gareggiare arrivando ultima, o quasi, proprio fa fatica ad andarmi giù. Si, è vero, gareggiamo contro noi stessi e i nostri limiti, ma si perde un po’ del gusto o meglio, devo riconquistarlo ogni giorno, ogni metro, ogni chilometro.
  • l’ottimismo: io credo che molte persone che mi leggono qui sul blog credano che io sia un’ottimista di natura. Mica vero! Ho conquistato il mio ottimismo da poco e, devo dire, ne vado molto orgogliosa perché come poche altre cose mi ha cambiato la vita. Pensare che c’è sicuramente una via di uscita davanti ad un ostacolo, avere fiducia che ciò che accade ha un senso mi ha rimesso in pace col mondo e col mio passato complicato.

Ma c’è un’altra cosa che ho dovuto imparare nelle ultime settimane, una cosa che mi è costata molta più fatica del previsto e che mi ha fatto riflettere molto

.#46percento e la rinuncia

Ho dovuto imparare a rinunciare. Qualcuno lo sa, diversi giorni fa, più di un mese ormai, ho iniziato ad avere una fastidiosa tosse che non accennava a diminuire. Da lì è stata un’escalation tra antibiotici, cortisone, costole incrinate. Avevo appena iniziato la fase di allenamento che mi avrebbe portato al mio obiettivo di stagione, ripetere la gara del mio esordio. Per poter partire quest’anno era necessario per me fare un altro sprint per acquisire il rank. Era tutto pianificato, avrei fatto una gara il 17 settembre, acquisito il rank necessario e poi di seguito sarei tornata a Riccione il 1 ottobre, la gara del mio esordio, con il sogno di abbassare il mio tempo rispetto allo scorso anno. Sogno che si stava traducendo in un allenamento serio e costante. Sogno che stava diventando obiettivo. Poi i primi di settembre inizio a star male.

Immagino che chi non fa sport fatichi a capire che sia molto difficile rinunciare ad una gara per motivi di salute. Invece lo è. Eccome. Significa analizzare la situazione nei dettagli, cercare di capire se l’ostacolo che ti trovi davanti è da superare o accettare. Significa riuscire a tenere gli occhi sulla metà nonostante il percorso sia tutto da rifare. Ho cercato di essere ottimista fino all’ultimo, sperando di farcela. Pensavo… domani sto meglio e ricomincio, ma giorno dopo giorno, facevo sempre più fatica a respirare e avevo dolore anche solo a camminare, figuriamoci correre o nuotare! Quindi ad un certo punto ho dovuto mollare, non tanto perché avrei fatto una gara senza allenamento (quella del 17), in un modo o nell’altro sarei arrivata in fondo, ma perché il 17 settembre non sarei proprio stata in grado di nuotare nelle condizioni in cui ero.

46percento relisienza

Quindi ho rinunciato. E ho scoperto che a volte rinunciare non è la scelta più semplice, che la perseveranza può tramutarsi in rinuncia. Che la resilienza può diventare abbandono, quando rinunciare è necessario per raggiungere l’obiettivo. Ho scoperto anche questo grazie al triathlon e ora, nel giorno in cui avrei dovuto scrivere della mia gara, mi sono rimasti in tasca un sogno e un obiettivo. Troverò sicuramente una data in cui spenderli. E so che sarà ancora più bello e che ce la farò. Con pazienza, umiltà e ottimismo.

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Archiviato in:140.6 (il mio triathlon) Contrassegnato con:resilienza, rinunciare, triathlon

Commenti

  1. Sarah dice

    4 Ottobre 2016 alle 7:48

    Grazie per le tue parole, sempre vere, cariche, leggere ma non troppo.

    Rispondi

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Mi chiamo Giovanna.
Fino a qualche anno fa non sapevo cosa fosse il triathlon e trattavo lo sport con la diffidenza di chi è abituato ad usare solo il cervello. Ho cambiato idea grazie ad un intervento che mi ha costretto a ricominciare da zero per non finire sulla sedia a rotelle.
Oggi sostengo che le difficoltà possono essere meravigliosi trampolini di lancio e che lo sport mi ha cambiato la vita insegnandomi cose che nei libri non avevo trovato.
Lo racconto qui.

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