Questa storia dell’arrivare secondi mi tormenta da un bel po’, un rovello fin da ragazzina. Mi frulla in testa in un sacco di occasioni da molto prima di occuparmi a vario titolo di sport. Tanti tanti anni fa scrissi anche un racconto che si intitolava Bene niente (inizialmente si doveva intitolare l’Eterna seconda) che raccontava di come non sia mai riuscita a riconoscermi un’eccellenza esclusiva. Non riuscivo mai ad essere la migliore in qualcosa, piuttosto mi capitava di essere bravina in più ambiti. Ma bravina. Insomma arrivavo sempre seconda.
Ora che ho abbondantemente oltrepassato la maturità, di questa caratteristica me ne sono fatta una ragione e anzi ogni tanto la mostro anche con un po’ di piaggeria, come tratto distintivo. Se non riesci a sconfiggere il nemico fattelo amico! Ecco… ora quando con aria disinvolta metto mano ad un pc e lo aggiusto mentre dovrei essere l’impostata relatrice di una lezione ripenso con un pizzico di orgoglio a quel liceo scientifico informatico portato avanti a fatica. A quel 54 alla maturità perfetta sintesi del mio 9 in italiano e del mio 5 e due figure (per i non romagnoli leggi: 6 scarso) in matematica.
Oppure quando oggi trovo la quadra di una strategia di comunicazione, anche grazie ai miei studi umanistici, penso che quel test d’ammissione non superato per un pelo a Scienze della Comunicazione sia stata una grande opportunità. Come non aver continuato la carriera universitaria dopo il dottorato. Insomma a volte il posto giusto non è detto che sia il primo.
Per la verità ciò di cui volevo parlare non è esattamente questo. Mannaggia a me che divago sempre! Volevo parlare esattamente di quando si arriva secondi nello sport e credo che in effetti non mi sia mai capitato personalmente. Mi è capitato, come a tutti però, di vedere decine e decine di finali e mi è capitato per due anni di fila di vedere un caro amico arrivare secondo a gare a cui si era preparato seriamente e con il massimo impegno per arrivare primo.
Arrivare secondi… due riflessioni
1) Chi arriva secondo ci arriva perdendo. Negli sport di squadra questa è una lampante e scontata verità. Ma anche in tanti altri sport individuali. Se sei arrivato secondo, se sei vice campione di qualsivoglia campionato, olimpiade o torneo parrocchiale, significa che hai perso l’ultima sfida. Magari le hai vinte tutte fino a quel momento, ma l’ultima, quella che conta, l’hai persa. E se il mondo fosse un posto giusto dovremmo trovare un sistema diverso, dai.. perché non si possono vedere atleti che arrivano sul podio con le guance ancora rosse dopo essersi accasciati in lacrime sul campo. Ma così è. Secondo arrivi perdendo, terzo arrivi vincendo e permettetemi, è tutta un’altra storia. Che poi è così anche negli sport di Endurance, perché quando hai uno, e uno solo davanti, è lui che devi andare a prendere e se ce la fai è lui, e solo lui, che perde la gara e sta dietro. C’è posto per un solo vincitore.
2) Non gareggiamo mai soli, ma possiamo allenare solo noi stessi. Anche quando ci alleniamo per arrivare primi. Mamma che rabbia a pensarci! Ho realizzato chiaramente questa cosa un anno fa, ero all’Ecomaratona del Chianti e il già citato amico, Enrico, allenato da Gabriele, mio compagno e allenatore, era lì a caccia del podio. Che poi questo è quello che si dice prima, magari anche toccandosi, la verità è che si era proprio preparato un’intera stagione per arrivare primo. Io non sono propriamente del mestiere, ma ho capito in soldoni che per mettere a punto un obiettivo del genere si analizzano i tempi delle precedenti edizioni, ci si accerta che quei tempi siano alla portata dell’atleta e poi ci si butta a capofitto nell’allenamento, dopo aver ben programmato la linea del tempo.
Può capitare ovvio, e appunto capitò un anno fa, che l’atleta riesca a migliorare il suo personale tanto da abbattere di diversi minuti anche il miglior tempo dell’edizione precedente e capita che, ahimè, quell’anno ci sia un professionista catapultatosi da qualche paese non meglio identificato per fare 2 minuti in meno di Enrico, che aveva fatto diversi minuti in meno del miglior tempo dell’anno prima. Ergo… Enrico secondo. Perché tu puoi andare fortissimo, ma se c’è uno che va più forte di te tu stai dietro. “E non c’è un caxxo da fare”, arrivi secondo. Enrico aveva un grande sorriso e ce l’aveva anche quest’anno che è successa la stessa cosa, anche se questa volta era un atleta albanese ad essersi fatto la gita in Toscana per firmare il destino. Non sapeva certo che più che il suo firmava quello di qualcun altro, quello di un ragazzo nato per correre sugli appenini reggiani. Ma sappiamo che il destino, come la fortuna, non esiste. E sappiamo che Enrico, come ogni vero atleta, lavora per superare sé stesso, dare sempre di più, alzare la propria asticella, e bla, bla, bla…. Però io, che non c’entro nulla, e che ero solo lì nel Chianti, e sul Ventasso (perché c’è anche la puntata “Secondo al Ventasso” ma ne parleremo magari un’altra volta), io, che di sponda lo seguo allenarsi e allenarsi, mangiare correttamente, metterci anima e corpo, e vedo i suoi occhi alla partenza e poi all’arrivo, beh io, se alla prossima gara c’è qualche marziano catapultato da chissà dove per stargli davanti, dovrò frenarmi dal compiere inconsulti gesti antisportivi!
Ma il posto giusto nello sport può essere il secondo quindi? No, certamente no, ma credo che la condizione del secondo sia la vera condizione utile. Quella di chi non si sente arrivato e vede sempre le spalle di qualcuno davanti da superare. Solo che non sono quelle di un avversario, ma quelle di sé stesso, com’era prima. Così dovremmo allenarci, così dovremo gareggiare. Così dovremmo soprattutto vivere.
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