Oggi non riesco a lavorare, una specie di dolore sordo mi si è appeso al centro del petto, ho le lacrime lì, questa cosa dell’eutanasia ha aperto dentro di me strade di dolore conosciute e infinite. Attorno ci sono amiche che stanno lottando per vivere e ieri c’era Dj Fabo a chiedere di morire, con il suo faccione gonfio e pallido che ti trovavi davanti ovunque, alternato a quello figo e abbronzato del passato.
Dolore. Sapere che lui oggi non c’è più. Quanto dolore. Continuo a guardare le immagini stamattina e ripenso a come devono essere stati quei momenti. Le ultime parole “Mettetevi sempre le cinture”, l’ultimo bacio, il pulsante chiuso in bocca, gli occhi che si chiudevano. Quanto dolore. In quelle parole impastate, in quegli occhi sfidanti di Valeria, come a dire, che ne sapete voi. Già… che ne sappiamo di cosa si prova a trovarsi prigionieri di un corpo che non risponde. Non è più quello che avevamo, non siamo più noi. O al contrario… che ne sappiamo della voglia di aggrapparsi alla vita fino alla fine, anche quando scivola via, anche quando davvero ormai non è più vita.
Ma è davvero questo il punto? Sapere cosa si prova? Capire cosa sarebbe giusto in certi casi? Non so… Parto da me, come sempre. Quando nel 2008 mi sono sottoposta all’intervento c’era la seria possibilità che ne potessi uscire tetraplegica o peggio. Era una possibilità che non potevo accettare. All’epoca ancora si parlava poco di questi temi, trovai un facsimile di testamento biologico sul sito della Fondazione Veronesi e lo compilai. C’erano le mie volontà, soprattutto c’era scritto che non volevo essere tenuta in vita dalle macchine. Non credo che sia questione di giusto o sbagliato. Stavo affrontando una grande prova e sentivo chiaro questo desiderio. Lo sento anche oggi. Non voglio essere tenuta in vita in maniera artificiale. E mi sembra un sacrosanto diritto. Poter decidere della propria vita.
La vita è un dono. Certo. Anche questo sento profondamente, non in senso cristiano, ma nel senso che vivo come un’opportunità impagabile la capacità umana di pensare il nostro essere qui, la forza di poter fare punto di vista sull’appartenenza al creato. La vita è un dono potentissimo. Ma al di là delle belle parole, dobbiamo guardare in faccia la realtà. La vita è un bene che l’uomo ha profondamente trasformato grazie alla scienza. Ogni tanto d’inverno penso che se fossi nata qualche migliaio di anni fa, la selezione naturale mi avrebbe ucciso, perché il freddo mi provoca moltissimi seri problemi. Sembra un pensiero stupido ma non è così. Anzi, credo che uno dei problemi della nostra società sia proprio il fatto che non si pensi più. I filosofi sono relegati a qualche triste cattedra del liceo o chissà dove a pubblicare libri che nessuno legge. Non si ragiona sui mille aspetti che la vita e l’evoluzione hanno portato con sé. Sull’etica della scienza e sul rispetto della vita umana. Ecco il rispetto. Questa mi sembra una parola guida in questo dolore.
Io nel tempo ho messo a punto un personale test per farmi un’opinione delle varie situazioni. Mi chiedo: “Se una persona che amo fosse in queste condizioni cosa penserei?” Scegliete la persona che amate di più in assoluto e provate. Rispettereste la sua volontà? Difendereste il suo diritto di scelta? La vorreste vedere felice? Vorreste la felicità che ha scelto per sé?
Questo esercizio è utilissimo in mille altre situazioni. Provate ad andare a fare la spesa e pensate di avere al seguito vostro figlio disabile, o vostro marito, moglie… Oppure provate a prendere il treno, provate a pensare di avere qualcuno di caro bloccato in un letto cieco e magari immobile. Provate a sentire cosa si prova, provate davvero. Ne uscite matti! Se lo fate sul serio ne uscite matti. Rispetto. Ci vuole rispetto.
Stiamo parlando di morie, non scherziamo. Nel nostro DNA c’è la tutela della vita, il nostro cervello è programmato per non farci morire, tutto le nostre reazioni innate tutelano l’esistenza. Il fatto che qualcuno possa scegliere coscientemente di togliersi la vita dovrebbe contenere già in sé la risposta. Sentire di aver oltrepassato il capolinea, aver perso davvero ogni desiderio di vivere significa aver valicato il confine dell’umanità. Significa che quella cosa lì, non abbiamo bisogno di viverla per capire che è disumana. Chi crede la può considerare divina, un’opportunità per avvicinarsi ad una più alta dimensione forse, ma non è più cosa da uomini.
Poi è chiaro che ci sono mille cavilli etici, giuridici, medici, quando si parla di eutanasia o di suicidio assistito ma quelli lasciamoli a chi di dovere. Noi comuni mortali possiamo solo lottare per il rispetto e la libertà. Che non significa che anche noi faremmo lo stesso al loro posto, ma che accettiamo che ognuno possa esercitare il proprio diritto. Un diritto che passa da un dolore infinito. Un dolore che merita tutto il nostro rispetto.
Ma soprattutto… lottiamo fino alla fine per ciò che crediamo giusto.
E mettiamo sempre le cinture.
Grazie DJ FABO.
“Non prendetemi per scemo ma devo chiedervi un favore: mettete sempre le cinture.
Non potete farmi un favore più grande”
Le foto dell’articolo sono di Mirco Belacchi
Ho scritto un post senza menzionare la parola eutanasia dal quale credo si comprenda il mio punto di vista sulla cosa.
Dovremmo lottare tutti ogni giorno per questa cosa.
Rispetto è rimasta, per certi versi, solo una parola del vocabolario. Va agito, il rispetto, partendo dalla persona più importante di tutte: noi stessi. E quando lo sperimenti, in prima persona, nasce un senso di … non so descriverlo a parole. E’ come un risveglio, come rimettere a posto i tasselli della vita. Chi sono io per entrare nella tua vita e dire cosa devi fare, qual’è la scelta più corretta per te in quel momento? Rispetto è la parola che più di tutte vibra in me tra le molte parole del tuo articolo. E per questo ti ringrazio, Giovanna.