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L’ultima ninna nanna del piccolo Charlie

1 Luglio 2017 By Giovanna Rossi Lascia un commento

Ho letto come tanti la storia del piccolo Charlie Gard e come tanti ho pensato di non avere gli strumenti per giudicare e farmi almeno un’opinione minimamente oggettiva su questa vicenda. Ma quel che è successo non può lasciare indifferenti e non può che scatenare domande profonde, che toccano le corde più nascoste del nostro animo.

ninna nanna charlie

Sono una mamma, tifo per la scienza, non sono credente. Eppure questa storia mi è arrivata violenta come un pugno sullo stomaco. Non mi torna che questa famiglia non possa essere accompagnata in modo diverso verso il proprio dolore. Perché questa apparente freddezza delle istituzioni e dei medici? Continuo a sperare che ci sia un motivo.

Un motivo per non acconsentire le cure sperimentali, un motivo per voler interrompere una piccola vita, un  motivo per non lasciare vivere a questo bambino gli ultimi giorni come desiderano i genitori. Ma la verità è che non riesco a capire la freddezza, l’incomprensione del dolore. Forse non conosciamo i dettagli di questa vicenda, ma l’urlo disperato di quei genitori è uno schiaffo a ciascuno di noi. “Lasciateci fare il bagnetto al nostro bimbo, lasciate che dorma nella sua culla”. Poteva capitare a chiunque, ognuno avrebbe reagito diversamente. Ognuno ha il sacrosanto diritto di vivere certe situazioni come meglio crede. Davvero è meglio che le cose vadano come dicono i medici? Davvero oltre a doversene fare una ragione, se la devono fare come dicono medici e istituzioni?

Mi si affollano i pensieri mentre penso a quella mamma e mi tornano in mente le amiche che hanno vissuto situazioni complicate coi loro piccoli. Perché capita spesso e quando un figlio è in pericolo di vita ciò che si prova è indicibile, e spesso ingestibile. Ci vuole aiuto, ci vuole qualcuno che ti prenda per mano. Qualcuno che aiuti a trovare un senso.

Non siamo mai abbastanza grati della vita. Questo è il primo pensiero di mamma che nasce dentro di me ogni volta che leggo storie di dolore e bambini. Infinita gratitudine per le due creature che ho il privilegio di crescere e che ho visto fare il primo passo, dire la prima parola, calcolare la prima operazione.

Ha più diritti un genitore o uno scienziato? Meglio… qual è il confine tra umanità e medicina? Perché un uomo non può essere libero di vivere o di morire? Vale per l’eutanasia, sì… ma vale anche per la vita, perdio!

Queste vicende ci sbattono in faccia quanto la macchina scientifica e legislativa abbia più che mai bisogno di etica. La scienza ha fatto passi da gigante, ormai siamo in grado di compiere veri e propri miracoli, impensabili fino a pochi anni fa. Ma non abbiamo dato la stessa importanza alla dimensione umana di questa escalation verso l’onnipotenza. Riusciamo solo a dare lezioni ideologiche o strumentali, non riusciamo a costruire un pensiero che possa aiutare la scienza ad umanizzarsi.

Mi piacerebbe che queste storie fossero almeno un pungolo per iniziare a ragionare su come la scienza non possa rinunciare alla dimensione etica e morale. Non religiosa, ma umana.

E, se da una parte vorrei vedere riuniti fior fior di pensatori, filosofi, medici dall’altra penso basterebbe una mamma. Una mamma a cui scendono le lacrime solo al pensiero, una mamma che capisca, senza troppe parole. Basterebbe una mamma e l’ultima ninna nanna di Charlie sarebbe la cosa più straziante e naturale di questo mondo.

 

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Mi chiamo Giovanna.
Fino a qualche anno fa non sapevo cosa fosse il triathlon e trattavo lo sport con la diffidenza di chi è abituato ad usare solo il cervello. Ho cambiato idea grazie ad un intervento che mi ha costretto a ricominciare da zero per non finire sulla sedia a rotelle.
Oggi sostengo che le difficoltà possono essere meravigliosi trampolini di lancio e che lo sport mi ha cambiato la vita insegnandomi cose che nei libri non avevo trovato.
Lo racconto qui.

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