Ogni tanto arriva: l’anno più difficile della tua vita. Arriva per spodestare un qualche anno precedente che deteneva il primato, perché il primo anno “più difficile” non è semplice da ricordare, ma l’ultimo invece è lì, con tutta la sua mole di dolorosi e appiccicosi ricordi. Che poi alla fine, per paradosso, sono gli anni più complicati ad essere ricordati, a segnarci nel profondo. Quelli di cui conti i giorni, quelli per cui hai dovuto andare a pescare tutte le risorse di cui eri in possesso, o meglio, quelli che le risorse le hanno create e ora nessuno te le toglie più.
Io ne ricordo parecchi di anni così. Non ci penso quasi mai, ma ora che sono qui a scrivere, in effetti la mia vita non è filata proprio “liscissima”. Qualche tempo fa un amico mi ha scritto “Sai che tu nella vita sei stata parecchio sfigata?“. Giuro: è un amico vero! E non mi stava prendendo in giro, la sua voleva essere l’affettuosa constatazione di chi mi conosce da tempo. In effetti non ha tutti i torti, ma questa lettura della mia vita non è esattamente quella che farei io. Ci sono stati molti ostacoli, lo ammetto, ma se sono come sono (e lasciatemelo confessare ora credo di essere molto meglio di un tempo!) lo devo soprattutto a questi ostacoli e a tutto ciò che mi ha aiutato a superarli: persone, assenze, occasioni, perseveranza e un po’ di coraggio. Insomma il bilancio è positivo dal mio punto di vista. Senza dubbio.
Ma parlavamo di “anno più difficile della propria vita”. Il mio 2017 si è andato a prendere il primato già a marzo, scalzando dal primo posto l’anno in cui ho preso la decisione di cambiare città, trovandomi contro tutto l’universo. Un anno che è certamente un prima e un dopo della mia esistenza, in cui ho capito cosa significa davvero lottare per ciò in cui credi. In cui ho capito quanto il desiderio e la determinazione siano il vero motore della nostra vita. Tra i peggiori c’era poi l’anno in cui mi sono innamorata follemente di un altro (quello che è diventato il padre dei miei figli) e ho lasciato mio marito appena sposato: l’anno della lettera scarlatta. 2003 e 2013 rimangono comunque sul podio al secondo e terzo posto… new entry primo in classifica il 2017.
Sarà che non riesco più a veder solo il lato negativo, ma il 2017 mi ha portato anche gioie e soddisfazioni che mai avrei pensato. Il rammarico, anzi, è di non essere riuscita a godermele in pieno, perché sempre offuscate da tutto il resto. Sono certamente queste soddisfazioni che mi stanno tenendo in piedi. Ora che quest’anno sta per finire ne sento tutta la fatica, come nel triathlon, quando inizi a correre e dopo un po’ arriva nelle gambe la fatica della bici e quella del nuoto. Forse proprio per questo ho davvero la necessità di riscuotere da questo anno almeno qualche insegnamento, mettendo in fila fatti e misfatti. Perché in fondo gli insegnamenti sono ovunque, ma quando le cose si fanno difficili gli insegnamenti sono di più. Forse la verità è che ogni tanto di anni così ne abbiamo bisogno.
Nel 2017 non solo Gabriele ha avuto un grave incidente in bici, ha perso il suo migliore amico a causa della SLA, io quest’anno ho temuto di perdere la mia più grande amica a causa di una recidiva del suo tumore, ho avuto la più grande delusione personale della mia vita legata al tradimento di persone di cui mi fidavo, ma soprattutto abbiamo affrontato (e affrontiamo ancora) un lungo percorso giudiziario che è sfociato in un altrettanto lungo ed estenuante percorso psicologico legato alla bambina di Gabri. Insomma… Ogni tanto durante questo anno avrei voluto essere qualcun’altro per abbracciarmi forte!
Da questa centrifuga di emozioni, fatti, relazioni da riconsiderare sono usciti alcuni fondamentali insegnamenti.
Ecco cosa ho imparato dall’anno più difficile della mia vita:
- Che in un attimo tutto può cambiare: il 6 marzo alle 13, mentre stavo per salire dallo studio in casa per preparare il pranzo, ricevo una telefonata. Era Davide, mio cognato: “Gabriele ha avuto un incidente in bici, lo stanno portando a Castelnuovo.” Boom! In un attimo tutto è cambiato, il mio tranquillo lunedì si è trasformato in qualcosa di sconosciuto e incontrollabile. Ho preso la macchina e mi sono diretta a Castelnuovo in ospedale. Dovevo partire subito e allo stesso tempo trovare un modo per tranquillizzare Margherita che sarebbe tornata da scuola da lì a poco senza trovarci. Dovevo disdire il colloquio di lavoro che avrei avuto a Correggio alle 14,30 e dovevo cercare di non mettermi a piangere disperata per non sapere cosa fosse successo esattamente. Il mio dialogo interiore tra le 13 e le 14, momento in cui ho potuto abbracciare Gabri, rimarrà scolpito per sempre nella mia memoria.
- A trovare soluzioni: andavo verso Castelnuovo e pensavo che Gabriele poteva essersi fatto molto male, guidavo e pensavo che qui a Reggio non abbiamo parenti, pensavo che eravamo entrambi liberi professionisti, e in mezzo pensavo a come riorganizzare la giornata, come fare con i bambini. Problemi macroscopici che si mischiavano a quelli quotidiani. Avevo una morsa fissa sullo stomaco. Non riuscivo neanche a piangere. C’era davanti a me un esercito di problemi pronto ad annientarmi. Poi con uno sforzo immane ho iniziato ad isolare i problemi e a cercare la soluzione ad un problema alla volta. Ho capito che così facevano meno paura e ho cominciato col risolvere tutti quelli quotidiani legati alla gestione dei bimbi fino a sera.
- A chiedere aiuto: quando ho scoperto che Gabri si era rotto clavicola e femore, che sarebbe dovuto stare prima in ospedale e poi a letto per molti giorni, sono stata costretta a chiedere aiuto. Non lo faccio quasi mai, amo arrangiarmi ed essere indipendente. Ma da sola non potevo farcela. E così ho preso il telefono e mi sono accorta che c’erano un sacco di persone pronte ad aiutarmi. E lo hanno fatto per settimane. Ho dovuto fare i conti con il disagio che questa cosa mi creava all’inizio, ma poi è stata come una liberazione. Più chiedi, più sarai grato!
- A scegliere le persone da tenere strette: sono abituata a dare tutto senza pensarci troppo su e a non ritengo possibile che le persone mettano in dubbio la mia buona fede. Quest’anno ho capito definitivamente che non è così e ho imparato a prendere provvedimenti. Mettersi a disposizione degli altri è un’arma a doppio taglio. Quest’anno avevo pensato di smettere, la delusione per il comportamento di alcune persone era troppo grande. Per mesi mi ha letteralmente paralizzato. Poi mi sono chiesta cosa mi aveva portato dov’ero. Mi sono detta: risponditi sinceramente. La risposta è venuta da lontano, da quando ragazzina passeggiavo sotto i portici dell’istituto dei Padri Giuseppini dove frequentavo gli Scout. Passeggiavo con il Direttore, che era anche il mio padre confessore. Lui ad un certo punto disse una frase di quelle che sono tra le frasi guida della mia vita: “Giovanna, tu sei fatta per essere un capo. Un capo è colui che serve.” Allora quest’anno ho scelto di non mollare la parte della mia vita che ho costruito per servire gli altri, di non mollarla per il fatto che alcune persone non l’avevano capita. Non mollarla anche se mi toglie energie che potrei dedicare ad altro. Poi, accorgersi che attorno a te ci sono persone negative, è uno splendido modo per far brillare ancora di più quelle positive. E quelle persone, che ci sono, eccome, le terrò ben strette!
- A ricalcolare il percorso: le cose non vanno sempre come speriamo e soprattutto la vita è fatta di relazioni ed eventi di cui non siamo i soli protagonisti. Ci sono progetti che si modificano nel tempo e ci sono volte in cui dobbiamo accettare questa cosa. Quando costatiamo che le cose non possono essere più come avevamo pensato dobbiamo ricalcolare il percorso. Senza drammi. Quest’anno ci ha dato mille spunti su questo tema. Il più facile da condividere è l’Ironman che Gabriele avrebbe dovuto fare ad agosto, per cui era già iscritto e di cui avevamo già organizzato il viaggio quando ha avuto l’incidente. Già a maggio però era chiaro che il suo primo Ironman era da rimandare a data da destinarsi. Sarebbe stato un momento importante, una gioia da condividere con la famiglia e gli amici… e invece no. Ricalcolare il percorso, ma soprattutto accettare il cambiamento per dargli un senso. Mantenere saldo lo stato d’animo. Salvaguardare il sorriso.
- A non mollare quando pensiamo di essere sulla strada giusta: questo insegnamento è frutto della parte bella di questo 2017. In quest’anno il nostro progetto professionale ha ricevuto su più fronti un riconoscimento inaspettato. Ho pensato molto a cosa fosse dovuto tutto questo consenso e anche in questo caso ciò che ho capito è stato fondamentale. In realtà sono anni e anni che Gabriele ed io studiamo, lavoriamo, scriviamo, viaggiamo con l’obiettivo di dare valore allo sport, alla prevenzione e all’allenamento. Molte volte ci siamo trovati in difficoltà e invece di accettare scorciatoie, abbiamo continuato per la strada in cui fermamente credevamo. I risultati iniziano ad arrivare, sono risultati che ci spingono a dare sempre di più. E sempre di più daremo. Come ci insegna lo sport e come questo 2017 ci ha confermato.
- Che chiediamo troppo poco ai nostri figli: continuamente sento genitori che dicono “Mio figlio poverino deve fare questo e quello”. Noi siamo genitori che mediamente chiedono ai figli più del genitore medio. Ecco quest’anno siamo stati costretti a chiedergli ancora di più per necessità. Gabriele a letto per più di un mese, io che ho lavorato per me e per lui oltre che per accudirlo, le difficoltà con Matilde. Loro hanno dovuto affrontare con noi non solo gli aspetti psicologici legati a questi complicati eventi, ma ci hanno dovuto aiutare anche concretamente. Assorbendo una parte dei lavori domestici, rinunciando a molte attenzioni, trovandosi a fare la differenza tra un nostro sorriso e un urlo. Ecco… tutte queste difficoltà sono state cemento per la nostra famiglia. Chiedere di più ai bambini li ha portati ad essere persone migliori, ad aumentare la loro autostima, a sentirsi più forti. Tutto questo non sarebbe successo senza queste disavventure ma è stato davvero provvidenziale.
Alla fine mi sono dilungata un casino, ma forse questo articolo serve più a me che a voi. Portate pazienza.
Serve per fare un respiro profondo e andare avanti, serve per guardare senza rancore il passato ma soprattutto serve per capire fino in fondo quanto sia utile ricordare un anno da dimenticare.
CIAO SONO FRANCESCO DI CAORLE.SONO STATO SEGUITO NELLA PREPARAZIONE DELL’ IM DI VENEZIA 2016.HO SAPUTO SOLO ORA LEGGENDO DELLA DISAVENTURA DI GABRIELE E TUTTO IL RESTO MI DISPIACE MOLTO . VI FACCIO UN IN BOCCA AL LUPO PER TUTTO. IN CONFRONTO A QUELLO CHE AVETE PASSATO L’IM È UNA PASSEGGIATA DI SALUTE,AUGURO A GABRIELE DI FARLO PRESTO. ANCORA AUGURI DI BUONE FESTE CIAO
Grazie Francesco! Che piacere sentirti. 🙂 E grazie delle tue belle parole. Non vedo l’ora di vedere Gabri passare sotto il traguardo. Un caro augurio di buone feste anche a te!