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Morire per il proprio sogno non è resilienza

20 Febbraio 2018 By Giovanna Rossi 2 commenti

Fino a che punto ci possiamo spingere in nome della resilienza… è resilienza morire per il proprio sogno?

@eddiebauer

Subisco come tanti il fascino delle grandi imprese, io stessa nel mio piccolo sto sottoponendo il mio corpo ad una sfida complessa. Diciamo che spesso mi trovo a fare i conti col senso del limite e con quell’asticella che sta lì davanti a noi per essere superata. Giusto per dire che appartengo a quella piccola parte di popolazione che fa il tifo per quelli che la maggior parte della popolazione considera matti da legare. La resilienza è un tema a me caro, soprattutto come mamma, trasmettere la resilienza ai bambini è fondamentale, ne ho scritto qui.

C’è chi fa sport estremi, chi scala montagne, chi attraversa deserti correndo. E lo fa per sé stesso. Perché alla fine una cosa del genere la puoi fare solo per te. Quando dici che lo fai per gli altri, per una buona causa, per la fame nel mondo o per la salvaguardia del pianeta, è solo un gioco di sponda. La ragione ultima sei tu e quel piacere unico e infinito che proviamo nel migliorare e nel riuscire nelle cose. Quel piacere che ci ha portato fin qui nell’evoluzione e fin qui nell’età adulta, quando eravamo solo dei poppanti e delle scimmie. Siamo fatti per evolvere, per migliorare, per faticare, anche se ultimamente sembriamo essercelo dimenticato.

Resilienza: il confine sottile tra resistere e morire

Per portare avanti attività estreme di questo tipo è indubbio che siano necessarie una forza e una determinazione fuori dal comune. Una passione che non solo spinge i tuoi passi dall’inizio alla fine dell’impresa, ma che soprattutto ti permette di allenarti ogni giorno per settimane, mesi, a volte anni in preparazione al grande sogno. Ti fa cambiare abitudini, amici, ti fa mangiare meglio e andare a letto presto. Ti fa risparmiare, ti fa spendere, rinunciare a stare con chi ami e litigare a casa.

Più l’obiettivo è ambizioso, più porta con sé dei rischi. Indubbiamente. Più l’obiettivo è ambizioso, più ti devi preparare al meglio per raggiungerlo. Io credo che questa preparazione sia la vera impresa. Forse è per questo che spesso mi appassiono più a seguire gli allenamenti dei miei “eroi” che a vederli in azione. Quando inizia la gara è come se iniziasse la festa, è prima che c’è il coraggio, la fatica, la grandezza. E’ prima che giorno dopo giorno diventi un eroe. Sia chiaro: l’impresa è un momento pazzesco in cui si concentrano impegno e fatica, concentrazione e ogni sorta di abilità. Ciononostante io credo che arrivare in fondo non sia ciò che ci rende eroi, soprattutto se per farlo sacrifichiamo ciò che abbiamo di più importante.

@stefanogregoretti

Il corpo è sacro

Non ho una visione religiosa del mondo. Credo profondamente però nella sacralità della vita, in tutte le sue forme. Il nostro corpo è un tempio, e questo me l’hanno insegnato la malattia prima e lo sport poi. Più chiediamo al nostro corpo, più lo conosciamo e più dobbiamo saperlo rispettare.

Per questo non riesco ad accettare che per raggiungere un sogno si possa scegliere di morire, non lo accetto. Accetto che ci si prenda un rischio alto, ma non accetto che davanti alla scelta tra rinunciare per vivere o morire per arrivare si scelga di morire. Questa non è resilienza.

La resilienza non è spavalderia. La resilienza è duro allenamento. La resilienza non è cocciutaggine. La resilienza è consapevolezza. La resilienza non significa sempre arrivare. Significa avere le palle per prepararsi a farlo, resilienza soprattutto significa avere le palle per dire mi fermo.

 

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Commenti

  1. Virginia dice

    21 Febbraio 2018 alle 8:17

    Semplicemente…. Grazie. Te lo dico con 3 ore di sonno, una sveglia suonata alle 6, mentre sto correndo i miei 25km sul tapis (fuori è in corso un diluvio e sono già raffreddata) prima di andare a lavoro. Grazie, perché hai espresso appieno il senso di passione, costanza, sacrificio. Dovrei farlo leggere a tutti coloro che mi identificano “matta da legare”… Fiera di esserlo, e tifosa come te di tutti coloro che lo sono. Mi sono ritrovata in tutto ciò che hai scritto… Dal cambio di abitudini, ai litigi.. Alle rinunce… Agli allenamenti. E mentre corro mi sento rincuorata, ed ancor più motivata. Inutile dire… D’accordo su ogni riga. La passione deve renderci felici, altrimenti perde il suo vero senso ed ESSENZA. Grazie Gio…. Per questo splendido specchio di realtà
    ❤️

    Rispondi
    • Giovanna Rossi dice

      21 Febbraio 2018 alle 13:16

      Grazie a te! Per l’esempio che sei. ❤️ Corri, donna, corri!

      Rispondi

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Mi chiamo Giovanna.
Fino a qualche anno fa non sapevo cosa fosse il triathlon e trattavo lo sport con la diffidenza di chi è abituato ad usare solo il cervello. Ho cambiato idea grazie ad un intervento che mi ha costretto a ricominciare da zero per non finire sulla sedia a rotelle.
Oggi sostengo che le difficoltà possono essere meravigliosi trampolini di lancio e che lo sport mi ha cambiato la vita insegnandomi cose che nei libri non avevo trovato.
Lo racconto qui.

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