Mio figlio, come l’80% dei suoi coetanei, gioca a calcio. Ha 11 anni, non ama la scuola, sogna di fare il calciatore e sopporta a fatica le mie inflessioni salutiste. Insomma… È normale, direte voi!
Ho un figlio in tutto simile ai suoi coetanei ma devo ammettere che da poco ho fatto la pace con la sua passione tipicamente italiana per il calcio. Per la verità ho fatto di tutto perché scegliesse un altro sport, ho anche scritto un articolo che si intitola “Perché non voglio che mio figlio giochi a calcio”. Non me lo potevo spiegare: suo padre non è un grande tifoso, Gabriele è appassionato di ogni sport meno che di calcio… ma lui chiede insistentemente di giocare a pallone da quando aveva 4 anni, forse meno.
Alla fine mi sono arresa.
Mi sono arresa perché ho capito che non potevo essere io a scegliere la sua passione, perché non ha mollato nonostante abbia fatto con impegno 1 anno di piscina, 1 di Judo, 2 anni di basket e 2 di tennis… ma soprattutto perché mi ha dimostrato che per quella passione era disposto a fare sacrifici e a cambiare. Quindi in quest’ultimo anno i nostri impegni hanno avuto il ritmo degli allenamenti e delle partite, la gioia e la delusione delle convocazioni, il sapore dolce della vittoria e quello amaro della sconfitta.
Chi mi conosce sa che lo sport per me ha un valore che va molto al di là dell’attività motoria. Per me lo sport è una splendida metafora della vita. E credo che dallo sport un bambino possa imparare molto. Lo sport ti allena a resistere, a gestire le relazioni, a rispettare gli impegni, a scoprire nuove emozioni.
Da poco, con un torneo in Riviera (tra Cesenatico e Cervia), si è concluso l’anno calcistico e anche il ciclo triennale di allenamento dei 2007. Dal prossimo anno si cambia categoria, si inizia a giocare a 9 e blah blah blah…
Cosa spero abbia imparato mio figlio da quest’anno di calcio
Che inseguire la propria passione costa sacrifici: fare lo sport tanto desiderato, avere il lavoro sognato, coltivare una relazione appagante. Tutte le cose belle richiedo qualche sacrificio. La felicità ha un prezzo, come i sogni e il successo. Mi spiace perché il mondo del calcio mette spesso in evidenza solo la parte luminosa della faccenda: i soldi, le macchine, l’aitanza dei calciatori. Raramente si trasmette ai bambini il sacrificio che tutti, soprattutto chi diventa un campione, deve mettere in conto. Credo che tutti ci dovremmo impegnare affinché i nostri ragazzi conoscano lo sport in tutte le sue sfumature, anche e soprattutto il calcio.
Che si può ripartire da capo. Dopo un anno di stop forzato (aveva lasciato il calcio perché era incompatibile con i week-end dal padre a Cesena) Alberto ha ricominciato ad allenarsi. Dopo averci pensato su, l’ho iscritto nella stessa società. Sapevo che sarebbe stato più difficile per lui misurarsi coi suoi compagni con un anno di allenamento in meno, ma pensavo fosse la cosa giusta da fare. Ripartire da dove aveva lasciato. Alla fine è ripartito giocando nelle squadra “meno pronta” perché più scarsa non vogliono che si dica. Soffriva molto, lo vedevo. Il suo vecchio allenatore, che adorava, era nell’altro campo, ad allenare gli altri. Viveva la cosa come un’ingiustizia, poi abbiamo iniziato a parlarne. Sei sicuro di correre veloce come gli altri? Sei certo di essere in grado come loro di costruire il gioco? Forse devi solo aver pazienza e non smettere mai di allenarti.
Non scorderò facilmente i suoi occhi il giorno in cui è tornato a casa e mi ha detto: Ciro (allenatore della squadra dei suoi piccoli grandi sogni) mi ha detto che dalla prossima volta mi alleno con loro.
Che la sconfitta fa parte del gioco. E non ho detto che vincere o perdere è lo stesso. Non siamo fatti per perdere e mi fanno ridere gli adulti che ai bambini dicono “Basta divertirsi!”. Quanto è divertente perdere 3 a 0? O peggio 5, 6, 8…
Il gioco è nel nostro DNA e nel nostro DNA c’è il desiderio di vittoria. Chiaro che per ogni vincitore c’è uno sconfitto, ma al fischio di inizio e fino al fischio finale l’obiettivo è per nostra natura la vittoria. Ho visto mio figlio perdere tante volte e vincere qualcuna. Ogni volta che perde mi ripeto che fa parte del gioco, della vita, della sua crescita. Ma da mamma non è facile. Ogni sconfitta deve essere il trampolino da cui ripartire. Sempre. Ripeterlo a lui fa bene a me.
Mio figlio non è un campione, io so che non sarà mai un calciatore, ma so che ha il diritto di coltivare il suo sogno. Ha soprattutto il diritto di essere messo alla prova, perché so che tutto questo potrà renderlo una persona migliore. Voglio che impari sulla sua pelle che non basta impegnarsi per diventare un calciatore, ma che non può pensare di diventare un calciatore senza esserti impegnato fino in fondo. E se vuole giocare a calcio, potrà farlo tutta la vita, anche se non sarà un professionista.
E la Riviera Romagnola?
Ecco, ogni volta che torno da turista rimango sempre esterefatta. Per lo spirito delle persone, per l’organizzazione delle strutture, per la cordialità che regna sovrana. Mi accorgo che la Romagna è un posto come tanti in cui vivere, ma certamente è un posto speciale in cui tornare.
Questa volta c’era un figlio che giocava, un figlio da veder crescere. Un figlio che ha vinto, perso, fatto del suo meglio ma anche cercato scuse. Un bambino come tanti. Che vorrei proteggere dai facili entusiasmi e a cui vorrei insegnare la costanza che richiedono i sogni. Di qualunque sogni si tratti.
Ah… domenica sera non avevo un filo di voce. L’avevo lasciata sugli spalti dello stadio di Cesenatico, era un’eco tra le voci stupende dei compagni di squadra di Alberto (quelli della squadra forte, o come dicono loro “più pronta”) che quando non giocavano le loro partite erano lì, ad urlare a squarciagola per sostenere i loro compagni di stanza e di giochi. Prima ancora che compagni di squadra. Quei cori, quel sostegno reciproco sono il ricordo più bello di una due giorni di calcio in cui ho dovuto vedere genitori insultare gli arbitri pesantemente o litigare tra loro, ma ho anche respirato il meglio dello sport.
Ok… anche il calcio può essere una splendida lezione di vita. L’ho capito. Basta scrivere le parole giuste. E le parole siamo sempre noi a deciderle. La strada, dovunque ci porterà, è ancora lunga e il libro alle prime pagine. Il prossimo capitolo lo scriveremo in una nuova società, con altri compagni e più allenamenti. Perché se il sogno è grande, grandi dobbiamo essere noi.
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