Crocifissi rattoppati, bagni fatiscenti, orari scolastici risalenti agli anni 70… È questa la (buona) scuola?
I miei figli frequentano le scuole medie in una grande città dell’evoluta Pianura Padana. Qualche giorno fa sono andata alle loro riunioni d’inizio anno e sono rimasta sconvolta.
Ero lì che ascoltavo con attenzione i professori che uno alla volta snocciolavano le loro impressioni sui ragazzi. Un’aula che poteva essere la mia di trent’anni prima se non fosse per una paradossale LIM stretta tra la porta e la lavagna a gessi. Ad un certo punto, per caso, alzo lo sguardo e lo vedo: il crocefisso, incastonato tra il passato in ardesia e il futuro in wi-fi. L’ho visto e mi è preso un groppo alla gola. Un simbolo dirompente, una botta nello stomaco, una provocazione. Ma non per quel che rappresentava in sé, e che rappresenta da sempre, per lo stato in cui si trovava. Un Cristo rattoppato così in malo modo… indifeso dai suoi sostenitori, ignorato dai detrattori. Una sorta di oblio reiterato e perverso. Una seconda morte quotidiana, altro che resurrezione!
Io non credo in dio, ma credo nel valore delle cose e dei luoghi, credo nei simboli e nella storia. Ho provato un fastidio estremo in quella immagine. Ho pensato a mio figlio che ogni giorno alzando gli occhi lo vede…
Prima di uscire dalla scuola e andare ad un riunione di lavoro sono andata in bagno. Ho cercato il bagno delle femmine lungo il corridoio e sono entrata. Non ci potevo credere. Da una parte mi sentivo tornata indietro di 30 anni, dall’altra mi sembrava di essere finita, per chissà quale balzo spazio temporale, in qualche periferia malfamata del Sud o peggio in qualche Paese del terzo mondo. Solo turche, mattonelle rotte, termosifoni arrugginiti, niente carta, niente sapone. Mi veniva da piangere.
Soprattutto pensavo a qualche insegnante dei miei figli, di quelli bravi, quelli che ci credono ancora, e pensavo che ogni giorno insegnano qui. Vivono con i ragazzi in questi squarci di squallore totale. Compilano il registro elettronico sotto a quel Crocifisso a brandelli. Fanno progetti d’avanguardia con l’Università tra i muri sbrecciati e il riscaldamento che ogni tanto non va.
Sono semplicemente una mamma. Non sono un politico, non lavoro nella Pubblica Amministrazione, non sono un ingegnere edile, non sono una professoressa. Tra parentesi… non credo che chiunque possa dire la sua su ogni argomento. E allora perché scrivo? Perché non resisto! Giuro, non resisto!
Questo post non è un atto di accusa tanto meno una ricetta per risolvere uno dei tanti mali dell’Italia. Assomiglia piuttosto ad un atto di disperazione, una specie di urlo, una telefonata concitata ad un’amica, l’antifurto che inizia a suonare.
È normale che la nostra scuola sia ridotta così? Cosa stiamo trasmettendo ai nostri ragazzi? Riusciremo a riemergere da questo baratro in cui noi italiani ci siamo cacciati? Ma soprattutto come? Come possiamo fare? Qualcuno ha delle idee? Possiamo iniziare a parlarne? Vi prego, possiamo iniziare a parlarne?!?
Vorrei dire che la scuola dei miei figli è anche la scuola che fa progetti bellissimi di inclusione, musica, lettura e che la mia città ha un’amministrazione che stimo e che si impegna costantemente anche sul fronte dell’istruzione. Ma questo non basta. Almeno non basta più. Qualcosa deve cambiare. Parliamone. Vi prego, parliamone.
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