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Il mio bicchiere mezzo pieno

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I miei perché

“Se la strada è in salita è perché sei destinato ad arrivare in alto”

Alzi la mano chi non ha una poesia in un cassetto. O chi non ha scritto almeno una volta qualcosa: un racconto, una storia, fissato su un foglio delle emozioni…

Abbiamo un bisogno ancestrale di raccontare che accompagna quello di ascoltare, lo facciamo fin da bambini. Siamo animali sociali, come si dice, nati per condividere. La condivisione non nasce dai Social, semmai i Social si fondano sul nostro desiderio di relazione. Ho bisogno di raccontare e amo ascoltare. Le storie sono il mio pane. Questo è il mio primo perché.

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Ho aperto questo blog nel 2015 per raccontare il mio primo triathlon da mamma, lavoratrice, invalida, folle. L’ho raccontato non agli atleti, che delle mie fatiche (è difficile per me anche solo interpretare gli allenamenti!) si farebbero fatti, forse, grasse risate, volevo raccontarlo a tutti gli altri, quelli a cui non importano le distanze, i tecnicismi, i dettagli, ma che hanno sete di emozioni e che quella luce negli occhi la percepirebbero, se la conoscessero.

Volevo raccontare il mare, l’alba, gli allenamenti, gli eroi di questo sport (all’Elbaman del 2014 ebbi l’onore di aiutare due paratleti in zona cambio, un’esperienza incredibile) e volevo che questo mio raccontare generasse quello di altri, volevo soprattutto conoscere le persone che sudano senza saperlo le mie stesse fatiche. Che sono poi le fatiche di tanti. Nello sport come nella vita.

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Lo sport da quel giorno per me è una sfida e questo è un altro dei miei perché. Adoro chi si mette in gioco, chi butta il cuore oltre l’ostacolo, chi sa guardare oltre il suo orizzonte. Per questo il racconto non sarà solo sportivo, perché quando parto per un allenamento saluto i miei bambini e li guardo negli occhi. Gli stessi occhi che sognavo di vedere (e c’erano!) quando avrei tagliato per la prima volta il mio traguardo. Lavorare duramente per un obiettivo, crederci fino in fondo, superare lo sconforto che a volte ti prende… scrivere è un modo per tenere il passo, per ricordare, per darsi la forza. Insieme.

Ho subìto un intervento chirurgico di quelli impegnativi, quelli che arrivano come un fulmine a ciel sereno, che ti tolgono il sonno, che segnano un prima e un dopo nella tua vita: sono rimasta a letto per giorni, ho dovuto ricominciare a camminare, a fare le scale, a vestirmi da sola, poi a guidare, tornare a prendermi cura dei miei figli. In quei momenti mille emozioni e centinaia di pensieri ti si affollano nella mente, alcuni sono nutrimento puro per le gambe che devono tornare salde, altri invece tolgono il fiato, l’energia. È una continua scelta tra arrendersi, con tante buone ragioni, o scegliere di non farlo e tenere accesi i sogni. Ecco, uno dei miei perché è raccontare come ho tenuto accesi i miei sogni fino a farne nascere di nuovi, raccontarlo a chi non vede la sua luce ora. Perché la luce c’è e io vorrei avere la forza e la pazienza di raccontarla.

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46percento è il mio grado di invalidità, io voglio che sia sempre il mio bicchiere mezzo pieno. Voglio ricordare a me stessa, prima che a chiunque altro, cosa posso fare con ciò che mi rimane. E sono certa che sono meraviglie!

Mi chiamo Giovanna.
Fino a qualche anno fa non sapevo cosa fosse il triathlon e trattavo lo sport con la diffidenza di chi è abituato ad usare solo il cervello. Ho cambiato idea grazie ad un intervento che mi ha costretto a ricominciare da zero per non finire sulla sedia a rotelle.
Oggi sostengo che le difficoltà possono essere meravigliosi trampolini di lancio e che lo sport mi ha cambiato la vita insegnandomi cose che nei libri non avevo trovato.
Lo racconto qui.

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