“Finché non provi a farlo non saprai mai cosa sei capace di fare”
Tutto è cominciato grazie al triathlon. È stato un colpo di fulmine, inaspettato. Come sempre accade in questi casi. Come sempre accade quando si trova ciò che ancora non sappiamo di cercare. Un’emozione incontenibile… l’idea di una sfida. La fiducia in un sogno.
Credo che sia stata colpa dell’Elbaman 2014. Anzi ne sono certa! Mi aspettava un ruolo da sostenitrice e appassionata tifosa (il mio compagno era iscritto), poi a qualche giorno dalla gara l’organizzazione chiede la disponibilità di una persona per aiutare un disabile in zona cambio, all’epoca non sapevo neanche che questo ruolo si chiamasse handler. Io rispondo all’organizzazione che se non devo sollevare qualcuno di peso sono disponibile. Arruolata. Non so nulla di chi aiuterò, ho solo un nome (Mirko) e un numero di telefono, insieme ad un accordo per sentirci il giorno prima della gara. Dallo staff mi dicono semplicemente di farmi viva appena arrivo sull’isola per la questione dei pass. Nella mia testa da quel momento è stato come se avessi anche io la mia parte di gara. Più che nella testa, nel cuore a ripensarci… Sapevo che una persona avrebbe fatto affidamento su di me per arrivare al traguardo. Anche per pochi minuti, anche in maniera infinitesimale, ma ero dentro.
Ci si è messo poi anche il sole, l’unica edizione della storia, dicono, col sole a picco e una temperatura che neanche ad agosto. Io ero partita con pile e giubbotto antivento (sai, pensavo… l’alba, il freddo, star fermi tante ore mentre c’è la gara) arriviamo là e sembra il set di un film. Zona cambio che si popola in maniera frenetica, aria mite, urla e sussurri in tante lingue, concentrazione e allegria insieme, poi il responsabile della zona cambio che sorride e mi dice: vai in segreteria e fatti mettere il braccialetto.
All’ora stabilita arriva la telefonata che fissa l’appuntamento con Mirko, che poi sono Sergio e Mirko, due amici, dieci anni di differenza, entrambi non hanno l’uso di un braccio. Mi spiegano che avranno bisogno di una mano per la muta e Sergio per il casco (lui ci tiene al cronometro), Mirko invece vuole solo arrivare alla fine, è il suo primo mezzo. Neanche a dirlo entrambi hanno la luce negli occhi, insieme alla determinazione di tutti gli altri, che in loro non può non valere di più.
La mattina della gara è ancora notte, si esce presto per andare a sistemare le ultime cose, le bici sono già lì. La zona cambio è riservata agli atleti ed entrare è come varcare la soglia di un tempio, o meglio di un monastero, un luogo per adepti o devoti. Ma lì mi sento subito bene, tanto emozionata ma a mio agio. Faccio quel che devo con Mirko e Sergio, qualche foto per me, guardo in silenzio il mio compagno compiere gesti precisi capendo che per lui, come per gli altri, la gara è iniziata varcando quella soglia. Il risultato dipenderà anche da come tutto lì sarà al suo posto. Poi un aiuto ad un giudice che non sa il francese e sta tentando di spiegare ad un atleta svizzero quale spazio può occupare, poi… ci siamo. In un attimo inizia ad albeggiare e siamo già in spiaggia. Pronti ad iniziare ognuno la propria gara.
Ed è proprio questa la magia del triathlon. Ogni partecipante ha una storia, una gara personale, compie l’impresa, al di là del risultato degli altri. Quelli che gareggiano davvero per i primi posti sono una manciata, gli altri gareggiano contro l’avversario più temibile di tutti, se stessi. L’aria che si respira per questo è unica. Gli sguardi che si incrociano indimenticabili.
È uno sport straordinario, l’ho capito quel giorno, straordinario è allenarsi per quello sport,oggi lo so. Straordinario ciò che si può diventare grazie ad esso.
Quando ancora tentennavo sulle distanze, sulle tipologie e sui dettagli, sapevo che quell’emozione doveva essere mia. Nonostante i mille impegni, nonostante la fatica, nonostante l’invalidità. Nonostante tutto.
Oggi lo sport fa parte della mia vita, anche se cambiano le priorità, i sogni e gli obiettivi. Lo sport è uno strumento (non è un fine!) che mi permette di vivere al meglio la mia disabilità e, insieme all’alimentazione, mi tiene in equilibrio!